La disputa che nel 1524-1525 oppose tra loro Erasmo e Lutero è una di quelle che oggi definiremmo «epocali»: intorno ad essa infatti si divise la coscienza cristiana dell’Europa del Cinquecento, senza che si sia potuto giungere a un accordo, né allora né in seguito. Il tema ritorna a ogni generazione, anche alla nostra (come questa lettera dimostra), per quanto la controversia al riguardo non sia più così accesa come un tempo. Il problema, però, c’è, e si pone, oggi come allora, nei termini di un aut-aut, di un’alternativa, che non è solo dottrinale, ma di fede. Alla base dello scontro (peraltro molto corretto, direi quasi fraterno) tra questi due grandi maestri cristiani, ci sono due diverse esperienze di fede, cioè due diverse esperienze di Dio. Il nostro lettore ha ragione nel ritenere che il confronto Lutero-Erasmo «riguardi, più che la polemica tra Umanesimo e Riforma, il rapporto fra Dio e la ragione umana». Senonché è proprio questo rapporto che sta al centro della polemica tra Umanesimo e Riforma. Il problema di fondo, alla base della disputa, è proprio il problema di Dio. Ecco perché questa disputa è sempre attuale: perché è in gioco il problema di Dio. Lutero stesso lo dice al termine del suo scritto, quando loda e ringrazia ripetutamente Erasmo per non averlo afflitto «con questioni estranee al dibattito come il papato, il purgatorio, le indulgenze o altre simili (che sono futilità più che questioni)», e di essere invece stato l’unico a sollevare «il punto essenziale» fra tutti, il punto cardinale (cardinem rerum è l’espressione latina): quello di Dio, appunto. Articolerò la risposta in tre punti: 1) Perché nacque la disputa? 2) Qual è il nodo della questione? 3) Il protestantesimo odierno si sente interpellato oppure no?
1. Perché nacque la disputa? Non nacque per volere dei due contendenti. Erasmo non avrebbe probabilmente mai, di sua iniziativa, preso così apertamente e pubblicamente posizione contro Lutero, benché dissentisse da lui su vari punti e soprattutto temesse sommamente l’agitazione politico-sociale, oltre che spirituale, che la Riforma portava con sé. Erasmo avrebbe preferito, secondo la sua indole, restare neutrale, fuori dalla mischia: non con Lutero, ma neppure contro. E Lutero, che aveva Erasmo in altissima stima – «sei un uomo eminente, che Dio ha dotato dei doni più numerosi e più nobili, fra i quali menzionerò (per non citare che quelli) l’intelligenza di spirito, la cultura e un’eloquenza miracolosa. Quanto a me, non sono niente…»–, non lo avrebbe mai attaccato scrivendo Il servo arbitrio, se Erasmo non lo avesse, per così dire, provocato, scrivendo Il libero arbitrio. Ma perché Erasmo scrisse quest’opera? Per le insistenze di diversi cattolici influenti, a cominciare dallo stesso pontefice Adriano VI, dal re d’Inghilterra Enrico VIII, allora ancora strenuo «difensore della fede cattolica » e dal cattolicissimo duca Giorgio di Sassonia, i quali fecero pressione su Erasmo affinché lui, il principe degli umanisti cristiani, l’intellettuale più colto del suo tempo, prendesse pubblicamente le distanze da Lutero e dal movimento della Riforma. L’intenzione era naturalmente quella di diminuire il credito di cui Lutero godeva anche negli ambienti colti dell’epoca, e così ostacolare il movimento della Riforma. Erasmo criticò Lutero su quello che sembrava essere un suo punto debole, forse il suo tallone d’Achille: la difesa a oltranza del «servo arbitrio» e del suo corollario, che è la predestinazione – due dottrine una meno popolare dell’altra. Attaccandole, Erasmo pensava forse di ottenere una facile vittoria. Ma non fu così. Lutero rispose dopo più di un anno con il Servo arbitrio, sostenendo che Erasmo, con tutta la sua cultura (non però teologica), non era stato in grado di trattare la questione in modo adeguato («Dio non ha voluto che tu fossi all’altezza dell’argomento trattato»). Benché dunque la disputa non sia stata personalmente voluta dai due protagonisti, essa ha però affrontato un tema cruciale della fede e della teologia cristiana fin dai loro primordi. L’espressione «libero arbitrio» non è biblica e proviene dalla filosofia stoica. Tertulliano, nel II secolo, l’introdusse nel cristianesimo e Agostino l’adottò, sostenendo però che la volontà dell’uomo è asservita al peccato e perciò non è più libera, ma serva. Sembra essere stato lui a coniare la nozione di «servo arbitrio», che Lutero, monaco agostiniano, ha fatto propria, come del resto avevano fatto prima di lui diversi teologi della stessa scuola. Insomma: la disputa tra Erasmo e Lutero percorre tutta la storia cristiana e, nel fondo, non è meno attuale oggi che 500 o 1600 anni fa.
2. Qual è il nodo della questione? È il rapporto tra la libertà di Dio e la libertà dell’uomo. Erasmo definisce così il libero arbitrio: «La forza mediante la quale l’uomo può volgersi verso ciò che conduce alla salvezza eterna, oppure allontanarsene ». Cioè: l’uomo è, in fin dei conti, arbitro della sua salvezza (o perdizione). Anche se, secondo Erasmo, la grazia di Dio svolge un’opera importante, anzi preponderante, nel processo della salvezza, pure è l’uomo artefice del suo destino eterno. Lutero replica affermando che «il libero arbitrio non è altro che nulla, non è altro che una parola» (res de solo titulo, dice il testo, cioè, letteralmente, «una realtà solo nominale»). «Libero arbitrio» è un titolo divino, dice Lutero, «che nessuno deve o può portare se non l’alta maestà divina. Perché soltanto Dio il Signore fa (come dice il Salmo 115, 3) quello che vuole nel cielo, in terra, nel mare e in tutte le profondità. Se io lo dicessi di un uomo sarebbe come se dicessi: un uomo ha potenza e forza divina; questa sarebbe la suprema bestemmia in terra, e un furto della gloria e del nome divino». Lutero è naturalmente il primo ad ammettere che la volontà umana è libera quando si tratta di decidere intorno ai beni terreni, campi, casa, lavoro e tutto ciò che concerne la vita quotidiana. «Ma verso Dio e le cose che concernono la salvezza e la condanna, l’uomo non ha proprio nessuna libera volontà, ma è prigioniero e soggetto alla volontà di Dio o a quella di Satana». E qui c’è la famosa, cruda immagine, che fa allibire tanta gente: «L’uomo è una bestia da soma: o la cavalca Dio (e allora fa quello che Dio vuole), o la cavalca Satana (e allora fa quello che Satana vuole)». Nessun moderno – è chiaro – vorrà neppure prendere in considerazione un’affermazione di questo genere. Eppure val la pena meditarla. Ma perché Lutero è così drastico nel negare all’uomo la libertà di decidere, cioè di scegliere, in campo morale e spirituale? Perché vuole privare l’uomo della sua responsabilità? Al contrario gliela conferisce al massimo grado. Ma soprattutto vuole che la salvezza dell’uomo sia totalmente nelle mani di Dio, affinché sia in mani sicure. Dio, per Lutero, non è spettatore delle gesta dell’uomo, ma attore, anzi prim’attore, la cui volontà libera e sovrana prevale sempre sulla volontà dell’uomo. Ma allora l’uomo è un burattino sballottato qua e là da forze più grandi di lui? Niente affatto, ma Lutero vede l’uomo nelle sue contraddizioni, che sono quelle già messe in luce dall’apostolo Paolo quando scrisse: «Il bene che voglio non lo faccio, ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se ciò che non voglio è quello che faccio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me» (Romani 7, 19-20). È un uomo libero quello che non fa quello che vuole e fa quello che non vuole? Certo, teoricamente e nominalmente l’uomo sarebbe libero di scegliere tra il bene e il male facendo il bene e non facendo il male, sarebbe libero di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stesso. La realtà però è diversa: l’uomo, in generale, ama se stesso più di Dio e del prossimo; sceglie Barabba piuttosto che Gesù, il dubbio piuttosto che la fede, il proprio vantaggio piuttosto che quello altrui, e così via. Ma perché è così? Perché Adamo ubbidisce al serpente anziché a Dio? Perché il male piace? Ecco le domande alle quali anche l’uomo moderno (e ciascuno di noi) deve rispondere, prima di liquidare la posizione di Lutero come «medievale».
3. Il protestantesimo odierno si sente interpellato dalla disputa Erasmo-Lutero oppure no? Non credo che il protestantesimo odierno si senta interpellato da questa disputa, e temo che esso sia segretamente più erasmiano che luterano. La disputa però resta attualissima, perché solleva due questioni cruciali: di che cosa parliamo quando diciamo «Dio»? e di che cosa parliamo quando diciamo «uomo»? Forse la posizione di Lutero, così come l’ha esposta nella foga polemica del momento, potrebbe essere qua e là mitigata in certe formulazioni: l’uomo naturale è anche, occasionalmente, capace di donarsi e spendersi per gli altri; ci sono, spesso proprio nel mondo profano, delle parabole del Regno che ci stupiscono e rallegrano; ci sono «uomini giusti», come li chiama la Bibbia, fuori dal perimetro delle religioni. Credo però che nel fondo Lutero avesse ragione. Ma su questo e altri punti, egli è oggi uno straniero in mezzo a noi.
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È opportuno, all’inizio, un chiarimento linguistico. L’espressione «servo» o «libero arbitrio» viene oggi facilmente fraintesa oppure non capita perché la parola «arbitrio» ha acquistato, nell’uso corrente, un significato diverso da quello che aveva nell’antichità classica, nel Medioevo e nella disputa tra Erasmo e Lutero. Oggi il sostantivo «arbitrio» e l’aggettivo «arbitrario» descrivono di solito una decisione o un’azione ingiusta o illegale, dettata dal capriccio di un prepotente, Nell’antichità e nel Medioevo, invece, il termine latino arbitrium descriveva la decisione o l’azione di un arbiter (da cui il nostro «arbitro»), cioè di un giudice imparziale che agisce secondo equità e giustizia, e non in modo arbitrario! «Libero arbitrio» significa dunque volontà libera, in particolare nelle scelte morali tra bene e male. «Servo arbitrio» significa volontà asservita al male, incapace di resistergli.
Dialoghi con Paolo Ricca - da
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